Matthias Lerf in merito a „Signers Koffer“

Alle Giornate di Soletta, ad un certo punto ne hanno avuto abbastanza dei ritratti d’artista. Sembrava che in Svizzera fossero più numerosi i ritratti che non gli artisti in carne ed ossa. Poi, nel 1995, con “La valigia di Signer” Peter Liechti di San Gallo ha reinventato il genere.  Non che abbia rivoluzionato tutto, anche lui proponeva interviste con il protagonista – lo scultore, disegnatore e artista concettuale Roman Signer, per l’appunto – anche lui presentava le opere del personaggio ritratto, solo che tutto questo sembrava fatto apposta per il mezzo cinematografico. Possiamo così vedere l’ampia parabola degli sgabelli volanti dalle finestre della Casa di cura Weissbad, il fischio sibilante di nastri rossi e di razzi che sfrecciano attraverso il paesaggio, un tavolo che fluttua sull’acqua. La particolarità sta nel fatto che il mezzo cinematografico enfatizza questi eventi, potenziando la forza degli interventi dell’artista attraverso gli occhi di Liechti. D’un tratto i ritratti d’artisti sono più richiesti, ben sapendo che “La valigia di Signer” resterà unica nel suo genere.

Dalle Alpi svizzere alla Polonia orientale, da Stromboli all’Islanda – „La valigia di Signer“ è un tentativo esteso di raggiungere la velocità di crociera ideale, un road movie attraverso l’Europa, lungo i solchi di un paesaggio magico. L’artista Roman Signer usa i suoi personalissimi strumenti per guidare i nostri passi; si tratta di interventi accattivanti e succinti, ricchi di sottile umorismo. Il film è anche un viaggio attraverso gli stati d’animo. Una passeggiata da funambolo tra malizia e malinconia, in cui il pericolo affina i sensi.